22 novembre 2011

La morte della compassione

Ogni volta che incontro una persona insensibile (e purtroppo capita spesso) la prima domanda che mi pongo è: come e quando questa psiche ha rinunciato alla propria vulnerabilità?

Perchè ormai mi è chiaro che ognuno di noi viene catapultato  nella vita. Volente o nolente. E l'unica cosa che può fare la differenza è sentirsi amati o sentirsi soli: nel primo caso la difesa è fornita da qualcuno che ti sta vicino e non ti lascia solo ad affrontare la durezza della vita (e fa una gran differenza), nel secondo caso ci si costringe alla difesa, per istinto di sopravvivenza e per mancanza di un'alternativa.

Chi è stato costretto alla seconda opzione è facilmente riconoscibile: ironizza, banalizza o addirittura svilisce i sentimenti altrui, non è capace di empatia, non conosce la delicatezza e la sensibilità. Ignora il mondo emotivo delle altre creature e, se vi entra, lo fa con l'accortezza di un elefante in una cristalleria. Infine: non si rende nemmeno conto di ciò che è e di ciò che fa e se gli fate notare la sua impermeabilità emotiva la risposta è uno stupito "cosa?". I don't understand. (Not) sorry.

La scorsa estate ho avuto modo di assistere a quella che definirei "agonia e morte della compassione". Vi voglio raccontare di cosa si tratta.
Ho incontrato più volte tre bambini, nell'arco di alcuni anni (almeno tre consecutivi): Andrea e Michele fratelli; Federico il loro cuginetto più grande (ovviamente i nomi sono fittizi). I tre vivono nella frazione di una paesino di montagna, un luogo a mio parere antropologicamente poco salubre. Che io sappia sono gli unici bambini del luogo. 

Federico è sempre stato un bambino particolarmente buono, nato dopo molti anni di infertilità dei genitori (ha due sorelle adottive). Un bambino che non ho mai visto una e dico UNA volta carezzare dalla mamma o dal papà (che tra l'altro lavora lontano e che Federico vede pochissimo).

Andrea (4 anni al tempo dei fatti cui mi riferirò) è il fratello maggiore di Michele (2 anni e mezzo circa). E' un bambino che si potrebbe banalmente definire "vivace", ama i giochi di movimento ed è assolutamente spericolato. 

Non credo abbia la più pallida idea di cosa sia il senso del pericolo

Una delle ultime volte in cui l'ho incontrato aveva un ricamo di punti di sutura sul sopracciglio destro. Federico mi disse che Andrea si era fatto male finendo contro lo spigolo del cancellone di casa sua, correva e dietro la curva il cancello era aperto.. e lui ci è finito sopra. Un paio di centimetri più in basso e avrebbe perso l'occhio. 

Da quando conosco Andrea mi dico che si può imparare presto ad arrangiarsi e a smettere di avere dei bisogni

Andrea viene nel bosco a camminare con noi con i sandali e nè lo sporco nè i sassi nè le ortiche lo infastidiscono. Sembra... insensibile. Una volta è finito nel fango e ne è uscito inzaccherato e zuppo. Ho impiegato un'intera confezione di salviettine per pulirgli almeno viso gambe e braccia ma Andrea mi guardava stralunato, come se non avesse alcuna familiarità con questi gesti di cura.

Nel tempo, ho accumulato una discreta serie di episodi di vita quotidiana che hanno in parte confermato ed in parte aggiunto nuovi elementi alla fisionomia delle relazioni primarie di questo bambino; ne riporto solo alcuni che mi sembrano significativi.

In un'occasione in cui la mamma lo stava sgridando verbalmente (aggiungendo anche qualche sonoro scapaccione sul sedere) Andrea, invece di piangere o arrabbiarsi, si mise a ridere. Era sicuramente imbarazzato perchè veniva ripreso davanti a noi ma mi ha colpito il modo in cui sembrava essere impermeabile a ciò che gli stava accadendo, come se riguardasse qualcun altro. 

Una delle ultime volte che l'ho visto aveva il sempre presente muco verde ciondolante dalle narici. Gli ho detto "Andrea devi soffiarti il naso", pensando che prendesse un fazzoletto... Macchè, ha preso la maglietta che indossava e si è pulito il naso con un lembo della stessa. Notate bene: non si è sfregato il naso sulla manica come potrebbero fare molti altri bambini; ha proprio usato la sua maglietta come un fazzoletto. Mi è uscito un "Andrea, non usare la maglietta per pulirti il naso!". E lui, inconsapevole del suo diritto alla dignità e al rispetto verso se stesso, ha domandato "Perchè?"...

In altro periodo dell'anno, accortici che Andrea non era riuscito a trattenere le feci durante una passeggiata e che stava camminando con tutto questo "bagaglio" dentro gli slip, lo invitammo a salire a casa per cambiarsi (100 metri in linea d'aria da dove ci trovavamo in quel momento). Lui tornò a casa, ma uno di noi adulti lo seguii per controllare il seguito. In effetti Andrea dopo pochi minuti stava già tornando da noi senza aver domandato aiuto a nessuno, limitandosi a svuotare gli slip, senza chiedere di essere cambiato nè lavato. Peggio del muco sulla maglietta, che dite?

Capitó perfino che Andrea e il fratellino Michele litigassero pesantemente davanti a noi: Michele aveva duramente colpito il fratello con un ombrello sulla mano (due bambini di 2 e 3 anni si prendono ad ombrellate davanti al papà ma quest'ultimo non interviene). Andrea aveva una mano ferita e il sangue gli gocciolava a terra. Chi se ne accorse? Lui, direte. Macchè! Coraggioso? Insensibile? Abituato a far tacere il dolore?... Il papà? Neanche. "Cose che capitano..." (in effetti succede anche di peggio: una volta Michele accese l'auto del padre - chiavi lasciate nel quadro e portiera aperta - facendola sobbalzare addosso alla catasta di legna contro la parete del garage. La catasta si rovesció direttamente sul cofano dell'auto...). 

Andrea parlava con un poco di difficoltà, a volte balbettava molto ripetendo spesso all'inizio della frase "ehm, ehm, ehm...". Ovviamente alcuni suoi compagni lo prendevano in giro e lui una volta me lo disse. Mi raccontò brevemente di come gli altri gli dicessero che lui parlava male e non si capiva niente di quel che diceva. Mi fece tanta tenerezza e provai a fargli capire che comprendevo la sua fatica e che non doveva essere facile per lui quando lo deridevano. Gli dissi anche che crescendo avrebbe imparato a parlare sempre meglio e che, in ogni caso, noi lo capivamo bene. 

Mi guardava come se stessi parlando una lingua straniera, fatta di suoni, parole e soprattutto significati incomprensibili. Il mio messaggio di empatia quasi rimbalzó sulla sua psiche, riuscendo in modo minimo a perforarne la scorza.


Potrei raccontare ancora molti episodi simili a questi, ma voglio arrivare alla morte della compassione, avendone sinora narrato - seppure a sprazzi - l'agonia.

Un pomeriggio arrivammo in auto in questa minuscola frazione di montagna e vidi dal finestrino Andrea e Federico che stavanno raccogliendo qualcosa nel prato vicino a casa. Scendemmo dall'auto e insieme a mio figlio (3 anni circa al momento dei fatti) andammo a vedere cosa stavano facendo Andrea e Federico. 

Erano a caccia di insetti (cavallette, farfalle ecc.) e non appena ne acchiappavano uno, lo andavano a mettere in un secchio poco lontano. Pensai che forse stavano giocando agli "scienziati"; in realtà il secchio era pieno di acqua e loro ci buttavano dentro gli insetti per affogarli... Alcuni di questi insetti erano privi di ali o zampe, rotte o perse durante la cattura, oppure strappate per divertimento ed esercizio di crudeltà. 


Restai ovviamente inorridita e chiesi loro per quale motivo stessero facendo questo gioco assurdo. Presero il secchio tutti divertiti e ci portarono a vedere un altro contenitore, pieno di una poltiglia piuttosto disgustosa che era la loro "pozione magica", dentro la quale rovesciarono gli insetti catturati. Non potevo stare zitta e semplicemente allontanarmi, dovevo dire qualcosa, che avesse un significato per mio figlio in prima istanza e, speravo, anche per Andrea e Federico.

Cercai quindi di far capire ai due cugini che quello che stavano facendo era orribile e che non era giusto catturare delle creature viventi per seviziarle e ucciderle per gioco, per cui non avrei lasciato mio figlio a giocare con loro ad un gioco così. Mi guardavano sinceramente stupiti, non capivano il valore della vita di un altro essere vivente, tantomeno il suo dolore o la sua agonia... In effetti LORO si stavano divertendo! 

Vi faccio notare che Andrea e Federico erano entrambi oltre l'età in cui di solito compare e si sviluppa la TOM (Theory Of Mind - Teoria della Mente), che è quella capacità grazie alla quale un essere umano è in grado di pensare e rappresentarsi stati d'animo, pensieri, emozioni e sensazioni appartenenti ad altri esseri viventi, anche se diversi dai propri.

Ciò che non era presente in loro era l'empatia, il "sentire l'altro". L'empatia evolve a partire dal contagio emotivo che caratterizza l'essere umano fin dalla nascita, si tratta di una risorsa personale cruciale nello sviluppo dell'intelligenza emotiva di un individuo.


Ecco, credo di aver compreso definitivamente in quell'occasione che la solitudine, la durezza, la mancanza di tenerezza e di contatto emotivo cui Andrea e Federico erano stati esposti fin da piccolissimi, avevano ottenuto il triste risultato di privarli di ciò che caratterizza l'essere umano nella sua possibilità di essere una Persona: la Pietà e la Compassione.

Qualcuno diceva che la crudeltà sugli animali è la palestra in cui si allena la crudeltà verso gli altri esseri umani. Mi vengono in mente l'Olocausto, le Guerre Mondiali, le pulizie etniche, le guerre fratricide. 

Ogni adulto è stato bambino. E il bambino è il padre dell'uomo.

La catena va spezzata e ogni caregiver - genitore, educatore - ha il dovere e il diritto di provare a spezzarla per rompere questo circolo perverso di violenza e dolore che purtroppo esiste e si ripeterà finchè non ci opporremo davvero ad esso.

Che ne pensate? 

Maria Beatrice

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Quello che racconti mi fa rabbrividire ... Mi auguro che questa storia sia l' inizio di un gran libro per educatori, genitori e per tutti quelli che si occupano di infanzia... Ti abbraccio grazie...

Educazione Consapevole ha detto...

Io mi auguro che sia l'inizio di una presa di coscienza vera da parte di chi si occupa di aiutare un bambino a crescere.
Quello che Odent definirebbe un "momento eureka" nella storia dell'umanità.
Ovviamente non sarà così, ma siccome possiamo cambiare il mondo solo partendo dal modificare noi stessi è il momento di cominciare! :)

Grazie per il tuo commento, un abbraccio a te!!!!!